Lo stile di Dio e lo stile del Diavolo.
Il gusto, oggi così diffuso, della facile cifra riduce lo stile a stereotipia – che è calco o coazione, e spesso calcolata maniera di sé.
Qual è lo stile di Dio? L’asiano delle nuvole, dei pachidermi e delle foreste tropicali? O l’attico degli scheletri e degli insetti? È barocco o realista? Dov’è il suo tema? Nel leone o nelle sue mosche? Nei rospi o nelle rose? Nelle stelle o nello sterco? È sublime? Volgare? È per la rima come nei rami e nei denti o per il verso sciolto dei fiumi in piena? Che la sua cifra sia l’impersonalità? E se dietro mille maschere parlasse solo di sé? Ha messo su un barbarico Grand Opéra o è uno stremato mallarmeano: marmellata di Opera Pura? Autore indefinibile! E perciò così trascurato, privo com’è del fascino tautologico della prevedibilità o di un rassicurante marchio di fabbrica.
(Lo stile del diavolo invece com’è subito riconoscibile. Il diavolo ama l’attualità, vuole piacere, rispetto alla sovrana onnipresenza di Dio, egli affanna col suo dappertutto; se Dio è universale, il diavolo è plebiscitario; sempre complice, compiacente, tempestivo e prevedibile, liscia il mondo – strizza l’occhio e trascura i coperchi...). (al 12.II.97 e 3.X.97)
Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004
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