lunedì 28 gennaio 2013

Il poeta in 100 pezzi: 61



Il colpo di grazia

«Quanta sofferenza nella sua poesia!». Sembra l’onore delle armi; invece non è che il colpo di grazia. Ma come! La sua sofferenza – ahimè, è un uomo sofferente – egli pensava di averla riscattata con la sua poesia; se è a partire dalla sofferenza – vale a dire dalla sua debolezza – che si muove la sua poesia, è nella forza di questa che vuol essere riconosciuto: ed eccolo, con quel commento sensibile, riportato al punto di partenza: come se fosse sempre e tutto lì. «No, nella mia poesia non c’è sofferenza. La mia poesia è gaia e vigorosa – è in gran forma!» vorrebbe rispondere; ma si limita a storcere la bocca serrata, in una smorfia di autentica sofferenza. (al 13.IV.93)

Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 21 gennaio 2013

Il poeta in 100 pezzi: 59


Opéra-comique

Sociologia, antropologia, psicologia... attività tristemente comiche, se si pensa a cosa sono applicate, qual è mai il loro fine. La scienza dell’uomo. Di un essere relativamente semplice, vulnerabile e mortale (per quanto, come specie, fin qui, resistentissimo), mosso da due o tre compulsioni primarie – immutabili – complicate e deformate da due o tre aberrazioni sociali – mutevoli, queste, come i costumi di scena, e ben note agli attori –, il quale non fa un vero passo nella conoscenza di sé, se non attraverso il dolore e il disastro.

Quanto alla poesia, che ha detto da tempo e continua a dire quel che c’è da sapere sull’uomo, non manca chi se la lavora, in una saletta operatoria appartata: c’è una scienza anche per lei – neppure il poeta se la cava: «Gli assistenti diventano professori / lavorando sui suoi lavori» – sociologia secondo Berryman. (... II.93)

Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004



lunedì 14 gennaio 2013

Il poeta in 100 pezzi: 58


La più esuberante e oggi suasiva delle illusioni è quella che nasce dall’infaticabile affabulare non della poesia, ma della scienza.

Sprovvista della virtù della poesia, che porta, seguendo l’ordine sapiente dell’immaginazione, il mondo nell’illusione, la scienza porta l’illusione nel mondo. 

Quel continuo mutare sostituire aggiustare rinnegare teorie e processi, un susseguirsi ininterrotto di supposizioni e di errori, che farebbero il discredito di ogni umana attività, passano per «il progresso incessante» della scienza. Ecco dove si è rifugiata la credulità che la scienza attribuiva alla fede per screditarla... (9.II.93)


Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004


lunedì 7 gennaio 2013

Il poeta in 100 pezzi: 44


  L’oscurantismo della luce

«L’equivalenza che tentavo di stabilire tra poesia e verità non si accordava con il rapporto reciproco in cui si trovano l’una in quanto arte, l’altra in quanto realtà... Ma tutto quello che potevo conseguire in questa direzione veniva sempre risucchiato entro la spirale dell’artificio poetico, con le sue imperiose esigenze di disegno ritmico e di elaborata eufonia, che impongono di distorcere le proprietà naturali delle parole e del tono...». Laura Riding (1962).

Niente è più ingannevole di questa settaria idea della verità che esclude e rigetta da sé quel che suppone menzogna – e che, in poesia, chiama artificio; come se nella realtà non vi fosse arte, artificio, e nell’artificio della poesia, realtà.
Tutto è forma nell’universo, e dunque tutto è artificio. La realtà si impone agli umani attraverso l’artificio: il desiderio – o l’amore – non è l’artificio della generazione? Ed è forse meno reale della reale copula riproduttiva?
Ogni linguaggio ha il suo artificio: i linguaggi quotidiani come quelli dell’arte, come lo stesso linguaggio della verità – e se è per questo: cosa c’è di più lontano dalle «proprietà naturali delle parole» del rigido o prensile artificio dei linguaggi filosofici?
Dove sono infine codeste proprietà naturali? Non vi è parola pronunciata che non ricada sotto le esigenze imperiose di un qualche artificio espressivo.
Solo un’ingenua ossessione razionalistica (che è, dopo il dilemma etico, l’altra forma – ennesimo inganno d’epoca – in cui nell’artista conflagra la refrattarietà profonda, che porta occultamente in sé, della cultura borghese all’arte) può dare il bando alla poesia in nome della chiarezza, poiché «in definitiva la poesia non riesce a chiarire niente, a cambiare niente». (Riding).
E perché mai la poesia dovrebbe chiarire o cambiare alcunché? (E vi sarebbe poi – salvi dalla poesia – uno «stile della verità», che potrebbe chiarire o cambiare qualcosa, in questo regno delle apparenze?).
Chiarire – cioè, eliminare l’oscuro, l’ombra: questo è l’oscurantismo della luce: l’accecamento cui la ragione ironicamente condanna chi le si fa irrazionalmente devoto. (13.IX.87)

Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004