venerdì 1 luglio 2011

Le tigri dell’ira

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Specula et spectacula: quelle battute, quelle smorfie, quelle gesticolazioni: si specchiano gli uni negli altri coi loro logori repertori obbligati: cortigiani e avversari, ingrugnati o ridenti o irridenti…
Sono spettri che si affollano la sera negli studi televisivi e affiorano dagli schermi per entrare nelle inquiete stanze degli italiani – rappresentanti del popolo e presentatori popolari: macchinali silhouettes, caricature umane che hanno perso il loro peso specifico in pensiero e sangue, involucri divorati da una mortale irrealtà.
Eccoli replicare nello specchio allucinato dei televisori, la partita truccata che si trascina nella luce smorta di parlamenti malati – tra la protervia di chi impone e l’ignavia di chi si oppone – senza nerbo, senza sdegno, senza ingegno: tutti comunque fatalmente alieni da una diversa idea del mondo che non contempli il prodotto lordo ma la lordura che produce.
Milioni di occhi e di orecchi soccombono a quei vaniloqui, disperano o si stordiscono con lo sberleffo dei comici – mai così folti come in questi anni drammatici!
Ma dal profondo, da un interno subbuglio, non sale, non arriva a farsi sentire la voce di dentro che intima: non ridete, adiratevi?

«Le tigri dell’ira sono più sagge dei cavalli dell’educazione.»

A dominare, ahinoi, sono i cavalli: tranquilli trotterellano coi loro personali paraocchi e anche quelli che s’impennano sono sicuri della stalla e del foraggio.

«Aspettati veleno dall’acqua ferma.»

Lode all’autore dei Proverbi infernali – e guai a quel popolo che non è capace di adirarsi.