domenica 24 novembre 2013

Serata per Gianfranco Palmery


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L’Associazione Culturale TRAleVOLTE 
ha il piacere di invitarvi

giovedì 5 dicembre 2013 alle ore 18.30
presso la sede dell’Associazione, Piazza di Porta San Giovanni 10

all’incontro di apertura della terza stagione di
 

PoetiTRAleVOLTE
a cura di Francesco Tarquini

 Per Gianfranco Palmery

Interverranno 
Domenico Adriano, Sauro Albisani, Annelisa Alleva,
Francesco Dalessandro, Domenico Vuoto, Nancy Watkins.


Gianfranco Palmery è autore di 15 libri di versi, tra cui L’opera della vita, Il versipelle, Medusa, L’io non esiste, Sonetti domiciliari, Giardino di delizie, fino ai recenti Compassioni della mente e Corpo di scena. Tra i suoi scritti critici: Il poeta in 100 pezzi, Divagazioni sulla diversità, Italia, Italia, Morsi di morte e altre tanatologie. Ha diretto dal 1984 al 1987 la rivista Arsenale, e ha tradotto poeti tra i quali Keats, Shelley, Sponde, Laforgue, Corbière. Ha fondato nel 1980 la casa editrice Il Labirinto, improntata al criterio: “amore dell’eccezione, autenticità e sapienza letteraria”. Ha amato il bianco, il nero e il colore, come testimoniano i suoi numerosi lavori di pittore

Gianfranco Palmery, “GfP”, ci ha lasciati il 28 luglio di quest’anno. La serata del 5 dicembre lo ricorderà, presente nella video-lettura Madrigali alla polvere; attraverso la lettura di suoi testi da parte degli amici; infine con una piccola mostra di suoi dipinti e lavori su carta.



TRAleVOLTE    Piazza di Porta San Giovanni, 10    00185  Roma

mercoledì 7 agosto 2013

questa era la mano d'un poeta





*

questa era la mano d’un poeta, questa la mente:
ora l’una contro l’altra – e tutt’e due per il niente



Gianfranco Palmery 
RIP 28 luglio 2013


versi da Corpo di Scena, Passigli 2013

lunedì 1 luglio 2013

Extra Strong VII: Divagazione su un titolo

    Divagazione su un titolo. Si capisce che dietro l’opera, dietro ogni opera c’è un uomo – che altro può esserci quaggiù? Ma farne una retorica: Vita d’un uomo, ecc. Sarà anche vero che a Ungaretti quel titolo è servito a umanizzare un’opera fondata sull’ideologia della «poesia pura», canonizzata, o estremizzata, da Mallarmé, che pensava appunto all’Opera – l’opera senza autore –, voleva, borghesemente, cancellare le tracce, le imbarazzanti tracce dell’umano... Però questa ostentazione finale, questa insegna levata come a cercare consenso o assoluzione... Non so, ma quando la parola «uomo» è portata dall’accidentale all’esemplare è come se il compiacimento si elevasse al cubo, da individuale a specistico: il richiamo del letterato all’umanità – che vada verso l’alto o verso il basso, verso l’umiltà o verso l’orgoglio – ha sempre qualcosa di irritantemente retorico – suona come l’astuzia del venditore che per catturare il cliente gli si mostra suo uguale (e di fatto lo è: sul piano del banale possono intendersi benissimo; quel che il venditore tocca per astuzia, non è che il fondo della specie... La sua menzogna è una paradossale ovvietà di rapace, e sancisce la comune appartenenza del raggiratore e del raggirato... ecc.) – e allo stesso tempo fa qualcosa che un poeta non dovrebbe mai fare: dare un crisma alla commozione su di sé della specie. (al 21.IX.97)



Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 24 giugno 2013

Extra Stong VI: Il poeta di servizio

    Il poeta di servizio. Tutte le esperienze più radicali, antiliriche, ludiche... sono figlie del tempo – lo lusingano; e il tempo le accoglie con benevolenza, le benedice: la cultura borghese quella prosetta snervata che surroga la poesia la riceve a braccia aperte: parla la sua lingua macchinale, ammiccante – esorcizza la morte e il male con le gag, esorcizza la poesia stessa, incubo da sempre del buon borghese affarista e professionista, è fatua e compiaciuta di sé; le si può aprire la porta, salariarla con cene e aperitivi: ripristina l’innocua figura del poeta di servizio – del fool, che non avrà mai – se mai potesse esaltarsi nella solitudine della sua stamberga – sortite da Hop-Frog. (al 14.VIII.97)


Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 17 giugno 2013

Extra Strong V: La vera idea atomica che disintegra l’io

*

    La vera idea atomica che disintegra l’io non è «io è un altro»: cogliendolo nella sua derogabilità, e scindibilità, in un certo senso, Rimbaud dava all’io un potere ulteriore; è bensì il suo inverso: «un altro è io» che, con la compattezza della sua universalità, aggredisce e sgretola il tetragono io individuale, prova che dietro la pienezza della sua pronuncia singola non c’è che il vuoto plurale. (al 1.VII.97)



Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 10 giugno 2013

Extra Strong II: Lo stile di Dio e lo stile del Diavolo.

    Lo stile di Dio e lo stile del Diavolo.
Il gusto, oggi così diffuso, della facile cifra riduce lo stile a stereotipia – che è calco o coazione, e spesso calcolata maniera di sé.
    Qual è lo stile di Dio? L’asiano delle nuvole, dei pachidermi e delle foreste tropicali? O l’attico degli scheletri e degli insetti? È barocco o realista? Dov’è il suo tema? Nel leone o nelle sue mosche? Nei rospi o nelle rose? Nelle stelle o nello sterco? È sublime? Volgare? È per la rima come nei rami e nei denti o per il verso sciolto dei fiumi in piena? Che la sua cifra sia l’impersonalità? E se dietro mille maschere parlasse solo di sé? Ha messo su un barbarico Grand Opéra o è uno stremato mallarmeano: marmellata di Opera Pura? Autore indefinibile! E perciò così trascurato, privo com’è del fascino tautologico della prevedibilità o di un rassicurante marchio di fabbrica.

    (Lo stile del diavolo invece com’è subito riconoscibile. Il diavolo ama l’attualità, vuole piacere, rispetto alla sovrana onnipresenza di Dio, egli affanna col suo dappertutto; se Dio è universale, il diavolo è plebiscitario; sempre complice, compiacente, tempestivo e prevedibile, liscia il mondo – strizza l’occhio e trascura i coperchi...). (al 12.II.97 e 3.X.97)


Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 3 giugno 2013

Extra Strong I

 I

Che un’alta esigenza formale – non formalistica – possa innovare all’interno di una tradizione, perché accompagnata, guidata, da una necessità, e che questa necessità sia in grado di coniugare emozione e pensiero, ispirazione e consapevolezza; che l’intelligenza del poeta non sia impari al suo genio, che insomma il cantore non sia o solo un tecnico senza talento o solo un Tinnico senza sapienza: tutto questo non sembra sia pensabile più neppure come eccezione – abolito, come mai esistito per una cultura poetica così indebolita che non può accostarsi che al gracile, all’epidermico, e alla poesia richiede il leggero artificio, la musichetta d’epoca, la trouvaille. (27.IV.96)





Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 27 maggio 2013

Il poeta in 100 pezzi: 100

    La tirannia dei grandi numeri – o zelanteria democratica – porta a raffronti insensati: «Canzone batte poesia», concludono i devoti dei dati, che trattano il declino di una civiltà o le miserie della specie come un campionato di calcio.
    Del resto sarebbe come dire: bigiotteria batte oreficeria – o, la televisione supera il teatro. Gran novità. Abbassi il valore e cresce il numero; e, reciprocamente, alzi il numero e scende il valore: è una regola plumbea.
    Enunciati come questo, già preceduti da democratiche eliminazioni di fatto, non riescono a nascondere, dietro il razionalismo dell’analisi, il compiacimento per una sconfitta attesa. (al 16.XI.95)

Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 20 maggio 2013

Il poeta in 100 pezzi: 99

Tutto quello che il mondo può fare con i poeti, quando non può più ignorarli, è onorarli: la verità della poesia non passa tra gli umani, non ha corso, se non sotto forma di commercio delle reliquie. La morte del poeta, in questo senso, non cambia niente; può solo avviare il mercato. (al l0.XI.95)



Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 13 maggio 2013

Il poeta in 100 pezzi: 98: L'immortalità

    «L’immortalità è un’incerta pratica burocratica. I posteri hanno i nostri stessi meriti di posteri e le stesse nostre insulsaggini di contemporanei. La virtù della posterità è il tempo – virtù del diavolo». Così Persio, leopardiano alla scuola del Parini. (26.IX.95)


Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 6 maggio 2013

Il poeta in 100 pezzi: 97

    Poiché il poeta resiste, non consente – non si aggrappa agli scorrimano d’epoca – «corre all’estremo oriente quando il fuoco d’artificio si spara a occidente»... ecc. – e dunque appare un essere a parte, una bizzarria, un paradosso ambulante, va da sé che sarà tenuto a distanza, un po’ irriso, un po’ spregiato... Eppure, né più né meno, quegli stessi tratti che lo facevano esecrabile, precisamente quelli: i suoi spaventosi connotati terreni – l’aggrondata solitudine, o l’umor nero, o il sarcasmo, o l’impassibilità, gli odi e i disgusti, le stravaganze, l’altera mitezza, le manie, le insopportabili profezie... –, a funerali fatti, l0 o 20 o 50 anni dopo, saranno consacrati, diventeranno il reliquiario delle chiacchiere (articoli, prefazioni, saggi...): ciò che ebbe lo sprezzo avrà la riverenza. Curioso carosello. (al 24.IX.95)


Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 29 aprile 2013

Il poeta in 100 pezzi: 96: Poesia e democrazia

Poesia e democrazia
Qualche attacco. I sarcasmi verso il borghese, l’odio e l’irrisione per la democrazia borghese e la religione del progresso – di Poe, Baudelaire... non erano spirito di categoria o postumi della scalmana romantica. Agli inizi del secolo scorso i poeti – alcuni poeti, quelli in cui ci riconosciamo – avevano già smascherato il nemico (non solo della poesia) – quest’anima divisa e doppia, questa menzogna su due gambe...
    Poiché la borghesia ha sempre usato la democrazia e il progresso come maschere pubbliche per le sue azioni private...
    È una verità molto semplice, di una evidenza accecante – per questo possiamo ripeterla, senza neppure la virtù sospetta e sempre un po’ ridicola dell’antiveggenza.
    Il cuore della borghesia – e di questa sua odierna discendenza promiscua –, anche quello che esibisce il suo battito a sinistra, è un cuore economico, un cuore privato, ridotto a un solo elemento: avendo sostituito, anzi identificato, il bene con l’utile – il vero e il bello servono ai suoi fini (l’arte socialista o il best-seller), quando decide di servirsene...

    Il democratico borghese rifugge dalla poesia non perché sia aristocratica – al contrario, perché è naturalmente democratica.
    La poesia si rivolge all’uomo interiore, che è in ognuno, tocca quel nucleo vivo e senziente dove riposano le verità universali: il mistero del mondo, il dolore, la morte... maestre d’uguaglianza – e ambisce a rianimarlo, a suscitare energie conculcate da parole d’ordine e ordini del giorno...
    (In questo senso è certo aristocratica – a riprova che vera democrazia e aristocrazia coincidono – poiché mira al dispiegamento delle forze migliori...).
    Né privata, né aristocratica – la poesia è voce che si leva, una voce e un nome, per far sognare i cervelli umani... Se oggi è alla privatezza, alla privazione – e paradossalmente le rivendica – è perché la vita stessa è privata, spogliata dalla tirannia dell’Utile, e in quella privatezza la poesia è esclusa (o reclusa) – lasciata alla sua privazione. (21.IX.95)


Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 22 aprile 2013

Il poeta in 100 pezzi: 95, I paradossi del poeta

I paradossi del poeta. 

Senza le muse è la noia; senza la noia, niente muse. (l0.VIII.95)

    Ogni poesia è sempre postuma: chi scrisse quella particolare poesia non c’è più: ne ha già scritta o ne sta scrivendo un’altra. (16.VIII.95)

    Sii sempre in te: è lì che la poesia può trovarti – per tirartene fuori. (al 17.IX.95)

    Se la sensibilità è la debolezza del poeta (Valéry), la poesia è la forza della sua debolezza. (17.IX.95)


Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 15 aprile 2013

Il poeta in 100 pezzi 91: Teste senza stelle

    Teste senza stelle

C’è da dubitare che il primo poeta sia davvero finito con la testa fracassata, come se lo figurava Jack London, per aver scelto di cantare le stelle o una donna invece del fegato di daina o della mazza di Uk. London vedeva la cosa con l’ironia del romantico attardato che era; ma per un poeta tribale il fegato della preda catturata dal capo dell’orda doveva essere certo più significativo di qualunque donna o lume celeste.
    Sarebbe una teoria dolce come una vendetta, ma la storia della poesia non è una storia di têtes étoilées: la testa ferita e trapanata di Apollinaire è solo il tributo pagato da Guillaume alle meraviglie della guerra... Il potere non teme la poesia, bensì, appena, il poeta che sia contro – Mandel’stam e non Pasternak –; ma il potere temerebbe anche un barbiere che fosse contro...
    Poeti disposti a cantare fegato di daina e mazza di Uk non sono mai mancati e oggi ce ne sarebbero a bizzeffe; se non che questo compito serio e imprescindibile se lo sono preso decisamente giornali e televisione – odi, encomi e canzoni appartengono tutti a un solo genere: pubblicità. Così, al poeta tocca quel che in realtà è sempre toccato: è lasciato vivere, o lasciato morire – che è la stessa cosa. (4.VIII.95)

Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 8 aprile 2013

Il poeta in 100 pezzi 89

Un buon tema per un poemetto eroicomico: la candidatura di Baudelaire all’Académie. Il candidato Baudelaire che vaga per le strade di Parigi, va di porta in porta, lascia i suoi libri, incontra i vari Immortali... I Villemain sono effettivamente immortali: ci sarà sempre un M. Villemain sulla strada di un poeta. «Signore, non sono originale, io». – «Che potete saperne, signore?», rispondeva ironico e profetico Baudelaire. Oggi Villemain è originale. (1.VIII.95)



Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 1 aprile 2013

Il poeta in 100 pezzi: 87

    Le vite dei poeti, come le vite dei santi. Storie che la poesia può fare assurgere a miti – e non solo miti interni, o devozioni per confrères e discendenti. Santo Torquato Tasso, Santo Edgar Poe, Santa Emily Brontë, e Keats, Baudelaire, Campana: sono storie di martirii, che una gloria postuma aureola e occulta; ma la materia è buona per tardi miti eroici... (1.VIII.95)


Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 25 marzo 2013

Il poeta in 100 pezzi: 85


    Il poeta non distingue l’alto dal basso; o piuttosto, c’è in lui come una precipitazione dello sguardo, che lo fa passare dalla mira alle cose celesti – tempeste, luna, stelle... di Dio non c’è speranza – senza trapassi vertiginosamente giù a terra, alle fosse e alle fogne. (29.VII.95) 

Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 18 marzo 2013

Il poeta in 100 pezzi 76

    Scrive Persio: «Morte di Dio, morte dell’Arte, morte della Poesia, morte del Romanzo: solo la Chiacchiera sembra immortale. Almeno finché dureranno l’Uomo e la Donna; che tuttavia non possono finire – veridico Leopardi! –, poiché non può finire chi non è mai esistito». (2.IV.95)


Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 11 marzo 2013

Il poeta in 100 pezzi 75


    La tradizione è fatta di irregolari. Irregolare era Leopardi, inopportuno classicista, non certo Berchet; irregolare era Campana, non Marinetti – così concorde con l’aria, e con il regime del suo tempo.
    Si capisce che irregolare non vuol dire niente. Il repertorio umano è quello che è: varia ripetendosi. Però la poesia non fugace, non musica d’epoca, quando appare, è considerata così, un’anomalia. E di solito è respinta, ignorata. Semplicemente, non era prevista, è l’inadeguato ai tempi, è l’ eccezione: quella che poi si chiamerà tradizione. (31.III.95)


Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 4 marzo 2013

Il poeta in 100 pezzi 74: Prepostuma


    Prepostuma

 Questa è la vera età d’oro della poesia. Liberato dall’obbligo di fare carriera, il poeta resta con la sua sola necessità: fare poesia.

    Il poeta non deve avere né orgoglio né umiltà per la sua esautorazione: questi sono i ripieghi morali di ogni perdita. Il poeta deve avere energia e necessità: nient’altro cioè che le virtù della poesia.

    La poesia è faccenda del poeta. «Le publique n’entre pas ici» (Laforgue) – o può entrare quando il poeta se ne è andato.

    La poesia non è né utile né inutile. Essa è del tutto estranea ai dilemmi della mente mercantile, come può esserlo una nuvola, una tempesta, una stella. La poesia necessariamente è.

    La poesia è sola, mai isolata – poiché essa è al centro di tutte le forze. Isolata è la vita abbandonata dalla poesia: isolata dalle forze della vita. (22.III.95)


Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 25 febbraio 2013

Il poeta in 100 pezzi: 71



Svuotarsi, fare di sé una vibrante cavità – ossia, divenire quello che si è: vuoto – un vuoto svuotato della polpa dolente, o della poltiglia putente, dell’anima – svuotato d’ogni ciarpame d’epoca.

La conchiglia risuona solo quando il mollusco è morto...

Una pura voce postuma. La voce in una forma cava e refrattaria. (al 1.VII.94)


Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 18 febbraio 2013

Il poeta in 100 pezzi: 66



Ridotto a se stesso, portatore di una poesia inevitabilmente solitaria, singolare – una poesia che nessuno lo aiuta a fare – senza dei e eroi in comune con i suoi contemporanei – che anzi vivono di miti succedanei, per lui intollerabili, adorano vitelli d’oro; ha il poeta davvero un’altra possibilità se non quella di coltivare la propria diversità, farsi un mito di esilio e solitudine? Non è solo attraverso questo sacrificio in sé dell’universale, un sacrificio non richiesto né riconosciuto – dunque non retorico, ma necessario – che egli può mantenere viva nel mondo la poesia? (28.XII.93)


Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 11 febbraio 2013

Il poeta in 100 pezzi: 63



In poesia bisogna diffidare dell’io discreto, come dell’io petulante o compiaciuto. L’io o è una solenne invenzione o è pigolio. L’io modesto è un’invenzione modesta, mediocre; poiché l’io è sempre invenzione.

Questa inventata verità, o grande maschera, deve avere una forma adeguata – che vuol dire: stile – ovvero, grande stile – tono, ritmo, memorabilità: tutto ciò che tengono insieme, che fanno forma viva, necessità e tecnica.

Ogni essere non è che forma, vivo in quanto e finché tale: una forma complessa e vuota, regolata da leggi rigorose, immutabili. La poesia risponde a leggi sue proprie, ma non diverse: dà forma a un’invenzione, o, che è lo stesso, al vuoto. Nata da una forma vuota e mortale, essa porta in sé, come un codice genetico, il vuoto e la morte – racchiusi nel rigoroso splendore di una forma viva. (30.VII.93)

lunedì 4 febbraio 2013

Il poeta in 100 pezzi: 62



È grazie all’estraneità e alla distanza che il poeta vede il suo tempo. Che meraviglia che il suo tempo non veda lui? (9.V.93)

Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 28 gennaio 2013

Il poeta in 100 pezzi: 61



Il colpo di grazia

«Quanta sofferenza nella sua poesia!». Sembra l’onore delle armi; invece non è che il colpo di grazia. Ma come! La sua sofferenza – ahimè, è un uomo sofferente – egli pensava di averla riscattata con la sua poesia; se è a partire dalla sofferenza – vale a dire dalla sua debolezza – che si muove la sua poesia, è nella forza di questa che vuol essere riconosciuto: ed eccolo, con quel commento sensibile, riportato al punto di partenza: come se fosse sempre e tutto lì. «No, nella mia poesia non c’è sofferenza. La mia poesia è gaia e vigorosa – è in gran forma!» vorrebbe rispondere; ma si limita a storcere la bocca serrata, in una smorfia di autentica sofferenza. (al 13.IV.93)

Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 21 gennaio 2013

Il poeta in 100 pezzi: 59


Opéra-comique

Sociologia, antropologia, psicologia... attività tristemente comiche, se si pensa a cosa sono applicate, qual è mai il loro fine. La scienza dell’uomo. Di un essere relativamente semplice, vulnerabile e mortale (per quanto, come specie, fin qui, resistentissimo), mosso da due o tre compulsioni primarie – immutabili – complicate e deformate da due o tre aberrazioni sociali – mutevoli, queste, come i costumi di scena, e ben note agli attori –, il quale non fa un vero passo nella conoscenza di sé, se non attraverso il dolore e il disastro.

Quanto alla poesia, che ha detto da tempo e continua a dire quel che c’è da sapere sull’uomo, non manca chi se la lavora, in una saletta operatoria appartata: c’è una scienza anche per lei – neppure il poeta se la cava: «Gli assistenti diventano professori / lavorando sui suoi lavori» – sociologia secondo Berryman. (... II.93)

Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004



lunedì 14 gennaio 2013

Il poeta in 100 pezzi: 58


La più esuberante e oggi suasiva delle illusioni è quella che nasce dall’infaticabile affabulare non della poesia, ma della scienza.

Sprovvista della virtù della poesia, che porta, seguendo l’ordine sapiente dell’immaginazione, il mondo nell’illusione, la scienza porta l’illusione nel mondo. 

Quel continuo mutare sostituire aggiustare rinnegare teorie e processi, un susseguirsi ininterrotto di supposizioni e di errori, che farebbero il discredito di ogni umana attività, passano per «il progresso incessante» della scienza. Ecco dove si è rifugiata la credulità che la scienza attribuiva alla fede per screditarla... (9.II.93)


Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004


lunedì 7 gennaio 2013

Il poeta in 100 pezzi: 44


  L’oscurantismo della luce

«L’equivalenza che tentavo di stabilire tra poesia e verità non si accordava con il rapporto reciproco in cui si trovano l’una in quanto arte, l’altra in quanto realtà... Ma tutto quello che potevo conseguire in questa direzione veniva sempre risucchiato entro la spirale dell’artificio poetico, con le sue imperiose esigenze di disegno ritmico e di elaborata eufonia, che impongono di distorcere le proprietà naturali delle parole e del tono...». Laura Riding (1962).

Niente è più ingannevole di questa settaria idea della verità che esclude e rigetta da sé quel che suppone menzogna – e che, in poesia, chiama artificio; come se nella realtà non vi fosse arte, artificio, e nell’artificio della poesia, realtà.
Tutto è forma nell’universo, e dunque tutto è artificio. La realtà si impone agli umani attraverso l’artificio: il desiderio – o l’amore – non è l’artificio della generazione? Ed è forse meno reale della reale copula riproduttiva?
Ogni linguaggio ha il suo artificio: i linguaggi quotidiani come quelli dell’arte, come lo stesso linguaggio della verità – e se è per questo: cosa c’è di più lontano dalle «proprietà naturali delle parole» del rigido o prensile artificio dei linguaggi filosofici?
Dove sono infine codeste proprietà naturali? Non vi è parola pronunciata che non ricada sotto le esigenze imperiose di un qualche artificio espressivo.
Solo un’ingenua ossessione razionalistica (che è, dopo il dilemma etico, l’altra forma – ennesimo inganno d’epoca – in cui nell’artista conflagra la refrattarietà profonda, che porta occultamente in sé, della cultura borghese all’arte) può dare il bando alla poesia in nome della chiarezza, poiché «in definitiva la poesia non riesce a chiarire niente, a cambiare niente». (Riding).
E perché mai la poesia dovrebbe chiarire o cambiare alcunché? (E vi sarebbe poi – salvi dalla poesia – uno «stile della verità», che potrebbe chiarire o cambiare qualcosa, in questo regno delle apparenze?).
Chiarire – cioè, eliminare l’oscuro, l’ombra: questo è l’oscurantismo della luce: l’accecamento cui la ragione ironicamente condanna chi le si fa irrazionalmente devoto. (13.IX.87)

Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004