domenica 4 ottobre 2009

Diario postumo I

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Cos'è Diario postumo?
È un archivio di pensieri, moralità, note in margine: riflessioni sui tempi e sui costumi, su poesia e letteratura, verità e errori d'epoca – brani scritti nell'arco di tre decenni e riferibili, in particolare, alla società italiana contemporanea.

Perché Diario postumo?
Perché è postumo ai pensieri o agli eventi che gli hanno dato vita.
Perché chi lo ha scritto è morto e ora non ne è che il curatore.
Perché chi lo ha scritto è ancora vivo, e queste pagine sono del genere che di solito si pubblica dopo la morte.
Perché l’autore si vede morto e sepolto e la sua esistenza e quello che scrive, tutto è postumo...


I

«... voglio mettere una data alla mia collera»
(
variante: «alla mia tristezza»)

Baudelaire



L’idillio del dopoguerra, il bucolico degli anni ’50, è una melassa di poeti elegiaci, profeti retroversi che prendevano lanterne per lucciole, e lanterne erano gli occhi degli italiani che già luccicavano di avidità, di cupidigia, già brillavano di un’unica mira... Basta rivedere certi film di quegli anni, e li scopri accapigliarsi, strepitare, smaniare: una solare corte dei miracoli in fermento.
Non restava che orchestrare quelle smanie, quegli appetiti, far vibrare i loro fragili midolli – collegarli, elettrizzarli, per spingerli alla pantomima collettiva del Gran Miracolo... e i poveri e belli, e buoni, eccoli rivelarsi voraci, distruttori e imbrattatori come i ricchi e cattivi di cui erano e seguitano ad essere le vittime presunte, in verità piuttosto complici ed emuli sempre più agguerriti e smaniosi in una turbolenta, cieca e generale sarabanda. (9.IV.87)

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L’idea di progresso sembra coincidere radicalmente con un’idea del tempo al futuro. In realtà, il rapporto vero che il progresso ha con il futuro è un rapporto di sottrazione: il progresso sottrae il futuro al presente, non essendo altro che un’accelerazione del presente, la sua consumazione accelerata...
Il progresso è la rinuncia al futuro per un presente progressista.
Che tutti i paesi socialisti arrivino prima o poi al consumismo capitalistico non è né un paradosso né una disdetta, ma l’esito inesorabile, l’unico, che l’idea di progresso consenta.
Non c’è un progresso capitalista e un progresso socialista. Il progresso si fonda univocamente sul consumo accelerato delle scorte e sull’accumulo inarrestato delle scorie. Il suo futuro è il rifiuto.
Al mondo e ai progressisti che affermano di non voler fermare il progresso, il progresso riserva il suo solo, prevedibile pregio: li fermerà. (30.VI.89)

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Giovane poeta italiano, che non ti rassegni all’abiezione in cui è caduto il tuo paese eppure vedi impietosamente che non c’è salvezza possibile, ripara all’
interno, chiedi asilo poetico: c’è una sola Italia dove vivere – come nella carducciana «isola dei poeti, degli eroi»... Non la penisola del tempo, ma un’isola della mente, una terra di morti, che sono i soli vivi – beata e non beota come quella dei morti-viventi che l’assediano e divorano giorno dopo giorno. Questa sia la tua Italia – l’altra faccia della merdaglia. (al 15.IV.02)

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La vita vale poco o niente, almeno per come si esprime nei singoli delle specie (ma anche in intere specie...): lo dice la vita stessa, con le sue consustanziali macellerie, su cui tutti ormai hanno buttato un occhio, serviti a domicilio da cronache e documentari. Nei più sventurati vale ancora meno – e dunque perché mai tanto stupore e sdegno per killer e kamikaze? Al di là delle latitudini e dei costumi che li connotano, essi sono un prodotto planetario del tutto organico; natura e cultura, in questo caso: l’incrocio perfetto allevato dalla modernità mercantile e tecnologica. (al 23.V.02)

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Qui sulla terra, industria delle carni,
macelleria globale, Tagli S.p.A.,
si annuncia un altro giorno di guadagni
e chi ancora non squarta squarterà

e chi non ha incassato incasserà.
Far crescere la pena è un buon affare
poiché la pena è sempre capitale

(al 31.V.02, h. 5,25 a.m.)

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Comici e confessori mantengono leggera la coscienza agli italiani. Tre pater ave e gloria o una battuta cialtrona di Sordi hanno la stessa funzione: consentono ai «peccatori» di perdonarsi o riconoscersi – e, fatti leggeri dalla penitenza o dalla risata, tornare alle loro cialtronerie e ai loro peccati. (14.II.03)

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La
ricerca: piccoli faustismi di batteria che si affrontano all’ultimo articolo su «Science». Il resto è inquinamento. (30.IV.03)

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Le gambucce accavallate, le scarpine firmate pendule, azzimati signorini, con i loro distinguo, ma in gara di sorrisi: due agiate vecchie zitelle che discutono se dare più soldi al giardiniere o al carpentiere – loro dicono: agricoltura o industria.
Le parole passe-partout «sviluppo» e «competitività» risuonano sulle loro boccucce sapute... Sono pensatori di dispensa, soppesano il presente – anzi il passato, perché il pavimento sta crollando, un vento violento scoperchia il tetto, le luci si spengono, ma loro vedono quelle scintillanti del salotto televisivo che li ospita... e vanno avanti con quieta esultanza. Qualche frasetta brillante rubacchiata dai libri come fosse propria, esibizione imparziale di dati di parte, alternanza di aggressione e consentimento esibita per l’avversario, una furba miscela di supponenza e finta modestia («per quel che so», «a quanto mi risulta», «potrei sbagliare», ecc.), e soprattutto, elusione, fumisterie: due della specie
politicus politicus, sottospecie oggidianus, ibrida, mutante, ubiqua, onniloquente, onnipresente, un OTM, Organismo Televisivamente Modificato. (al 9.IX.03)

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Se non siete già idioti, idiotizzatevi, come tutti: TV, calcio, canzonette, shopping, maldive... In casa di idioti non idiotizzarsi è da idioti. (23.XII.03)

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La poesia o è un
gadget isomero di quotidiani, in edizioni che puzzano di effimero come la carta e gli inchiostri dei medesimi, o è un bibelot d’antiquariato, una ingiallita reliquia amatoriale da scaffale o da armadietto: in ogni caso esiste solo se e quando risponde a regole di lucro. (... III.04)

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La letteratura la fanno i solitari, gli eslege, i naufraghi, i fuoriusciti – uno scrittore non può avere altra confraternita –; non la fanno i suonatori di tamburo della tribù, gli imbonitori, gli intrattenitori... Eco del tempo. Non i raccontatori ombelicali, gli autori di elegie anagrafiche: questi stucchevolmente terribili romanzetti puerili annualmente ammanniti a lettori puerili... (26.III.04)

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Quel che è perduto – quello di cui sentiamo la lancinante mancanza – non è l’umanità, ma la terrestrità: l’umanità è stata ed è sempre
troppo umana, ed è appunto la causa di questa soverchiante perdita di terrestrità. Al di là della prospettive ovvie di disastro e tracollo incombenti, quel che quotidianamente asserisce il trionfo catastrofico, o la superba disfatta, dell’umanità sono le sue voci: i fragori delle macchine e, specularmente, lo stridore delle chiacchiere. I primi coprono e soppiantano ogni altra voce terrestre, come le seconde coprono e soppiantano e storpiano e fanno infima la parola, il verbo.
La terra è invasa da idee-ordigni scagliati fuori da una mente macchinale: scavatrici, caterpillar, martelli pneumatici, arrotapavimenti, seghe elettriche, trapani, tagliaerbe: il lavoro umano non è che macchinale fragore, e il suo riposo chiacchiera macchinale... Impedito l’ascolto di sé, delle altre voci della terra, e del silenzio... La violenza della macchina annienta prima di tutto la voce, l’essenza sonora della terrestrità – distrugge il discorso il canto il silenzio, vanifica gridi e richiami, isola le teste in un rombo pneumatico e dalle bocche umane, macchinette sfrenate, non esce che rumore. (13.IV.04)

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A chi prende le protesi meccaniche per progresso, e pensa che la specie avanzi solo perché si muove più velocemente, a chi sogna palingenesi
ex machina: è vano, e sbagliato, e troppo facile, parlare di barbarie tecnologica, di stupidità e violenza compresse in congegni e microprocessori; riconosciamo piuttosto in questa umanità di tecnologia avanzata la solita immutabile barbara umanità che non avanza di un passo ma che sta conquistando una involontaria virtù: favorire la propria scomparsa. (al 14.IV.04)

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Voci fuori di scena. «Ora che gli abbiamo messo in mano questo nuovo giocattolo, l’ultima carabattola, quella che loro chiamano la scienza, con tutte le altre che gli abbiamo fatto trovare sotto l’albero – i nostri regalucci di natale – e che considerano le loro grandi scoperte e invenzioni, le opere del genio umano, ah ah, di cui si gloriano nel loro infantilismo... Quello che vola e quello che cade, che si muove e che si schianta, che turbina e che esplode, che sfavilla e che avvelena, ecc.: ora la nostra capacità di danno è centuplicata, mentre noi quasi non dobbiamo più agire, ah sì, non esistiamo più, si spiegheranno tutto scientificamente, cercheranno e si scaricheranno tra loro colpe e responsabilità, al modo d’oggi, in nome della ragione o delle ragioni, scannandosi, all’antica, come sempre». (al 28.VIII.05)

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Un tempo era l’albagia nobiliare a vietarsi il pensiero della morte (morendo si perde la faccia: si è riconosciuti pari agli altri mortali); oggi è la decenza borghese: parlare della morte è sconveniente, e non è conveniente (la scienza ci farà immortali – e intanto perché rovinarsi cene e viaggi?).
Perfino col sesso il borghese si è fatto sfrontato – con la morte, che ne ha ereditato lo sporco, si mantiene pudico; del resto per lei non c’è ancora un contraccettivo efficace. (28.VIII.05)

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Turismo: tra eretismo e meteorismo – una pandemia di turbolenze neurologiche e flatulenze gastroenteriche sparse su tutta la terra. Una dispepsia planetaria. Torme di sonnambuli che lasciano un luogo di cui non sanno niente per aggirarsi in un altro di cui sanno ancora meno.
Per questo onnivago trepestio e zappettamento, seminato da una indiscussa induzione, e nutrito con lo spostamento di quintali di concime fecale, spunta e cresce appunto l’Indotto, fiore dell’economia moderna. (16.VIII.06)

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Chierici ciechi e ipocriti, dopo aver partecipato allo scempio, per anni complici muti e attivi, – con prebende, privilegi –, ora che finalmente
vedono, o piuttosto fiutano, perché oppressi da tonnellate di merce-merda e di merda che non si sa più come smaltire – ah, ecco che ora gridano flebilmente, sospirano, rimpiangono (le loro poveramente dorate infanzie): oh che cosa abbiamo (hanno) fatto! (all’8.II.07)

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Giornata mondiale dell’acqua. Giornata mondiale della lentezza. Giornata mondiale della qualità. Giornata mondiale, ahinoi, della poesia...
Le giornate mondiali: annunciano allarme, catastrofe: si istituiscono per qualcosa che è in esaurimento o in estinzione, o è già estinto: la qualità, per esempio... Con un tale aggettivo, poi, «mondiale», così minacciosamente connesso alla guerra e al calcio, che è un’altra forma di guerra, civile... E come si celebra in Italia questa luminosa giornata della poesia? Officianti: attori di servizio e poeti al fischio. –
Vite soufflons la lampe... (21.III.07)
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Rimette d’osso

chi si vende al dettaglio e chi all’ingrosso
chi mette pancia e chi si spolpa all’osso

l’ossimoro ci investe, ci sta addosso,
su due gambe portiamo grasso e osso

è questo gente il magro paradosso:
produrre grasso ci ha ridotto all’osso

(30.IV.07)

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La poesia è un incantamento, un’esca – anche un’esca avvelenata... Qualcosa che cattura, accende, brucia: un veleno ardente, un farmaco per animi forti, mica un annacquato truffaldino, un brodino familiare o un frullato di lezio poetico al banco...
Come beffardamente si vanta Corbière, nella celebre dedica all’amico albergatore di Roscoff: «Noi siamo entrambi due begli avvelenatori. / A te gli stomachi, Le Gad, a me i cuori!».
Se quello strano estratto che si versa e coagula su carta non àltera e incanta e intossica, vuol dire che sulla carta non è colato che il nulla d’epoca, e questo la fa buona per il riciclo o il macero. (23.VI.07)


Diario postumo, I è uscito sulla rivista "Pagine", XVIII, 54, gennaio-marzo 2008.
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5 commenti:

Unknown ha detto...

Lo stile vivace, sentito, emporté di questi frammenti è molto apprezzabile.
Devo dire che trovo i pezzi sulla letteratura e la poesia più convincenti.
Per alcuni altri offro questi commenti e queste domande.

Ci si può fidare di un politico che pronunci delle sentenze sulla letteratura?
Ci si può fidare di un letterario che politicizza la letteratura o parla da politico?
Oggi è possibile dividere il mondo in paesi socialisti e capitalisti?
Non sarebbe più giusto parlare di occidente e di oriente? di forme diverse
di consumismo, ormai globalizzato? o di paesi consumisti e paesi che cercano
di diventarlo? Si può ignorare l'Africa? Entra in questi schemi?

I
Oggi "La vita vale poco o niente" scrive Gianfranco Palmery. E vero se crediamo
alla cultura dei western e del film di hollywood. In Prospectus I, Campana scriveva

Watteau confit dans le bleu du jour
Satanisme macot [maquereau], industria del cadavere, linea degli orienti e del progresso


II

Il progresso

Esistono vari tipi di progresso. Le varie forme di contraccezione sono chiari segni di progresso e ce ne sono altre in vari campi, come in medicina, giurisprudenza, scienza, astrofisica, ecc. Alcune forme di progresso ci restituiscono il nostro passato e allontanano il futuro. Ma in politica non ce ne sono molti segni di progresso perché la natura umana non è cambiata. Tuttavia ci sono delle persone buone e brave che si affermano e godono un discreto consenso e la luce del sole per alcuni istanti ogni tanto (se non vengono assassinati). Il discorso del progresso in campo economico però annulla ogni differenza ideologica. E la politica delle identità, delle determinazioni attualmente di moda, viene ugualmente cancellata dal discorso economico. I socialisti, quelli di destra, di sinistra, del centro, verdi, femministe, ecc, alla fine agiscono più per il proprio interesse economico (e per la propria tribù), sull'onda del progresso economico, che per il bene di un partito o di un paese. E quindi sono d'accordo che tutti paesi socialisti e capitalisti (quelli di occidenti e quelli di oriente) arrivano ugualmente al progresso nel senso (economico) di consumismo, "il consumo accelerato delle scorte" e l'accumularsi industriale delle scorie e dei cadaveri.

Si vedano le riflessioni di Leopardi sul progresso.

Si suol dire che lo spirito umano deve assaissimo, anzi soprattutto, ai geni straordinari e discopritori che s'innalzano di tanto in tanto. Io credo ch'egli debba loro assai poco, e che i progressi dello spirito umano siano opera principalmente degl'ingegni mediocri.
(Zibaldone, 1730)


III

Ancora una citazione di Giacomo:

O patria mia, vedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri e l'erme
Torri degli avi nostri,
Ma la gloria non vedo […]


Ultimo pensierino…

Il progresso esplode in alcuni sensi. Il progresso dell'inquinamento del pianeta, dell'oceano, del livello culturale del cittadino medio, dell'idiozia umana…
La tecnologia ci ha resi più o meno intelligenti? Si può generalizzare?

domenico ha detto...

Le tue note diaristiche (che in gran parte conoscevo) meritano attenzione per la scrittura sapiente e sapienziale con cui sono rese. Alcune centrano perfettamente il bersaglio, perché distaccate e concise nella loro affilatezza. In altre, secondo il mio modesto parere, prevale a tratti un eccesso di indignazione (starei per dire: di collera) che un po' ne indebolisce l'efficacia. Sono tutte comunque di godibilissima lettura.
Poiché in una raccolta che ho da poco terminato e che ha per titolo "Bravi e bravacci", si parla ugualmente del carattere degli italiani - siamo in tema dunque - vorrei risponderti con un mio breve pensiero che recita:
Negli anni cinquanta gli italiani erano "virtuosi e innocenti", ma solo perché poveri. Col boom e nei decenni successivi, hanno manifestato l'avidità e la ferocia di chi deve recuperare, e in fretta, il tempo di una forzata astinenza.
d.v.

Anonimo ha detto...

I versetti sono le cose più godibili. Le note sono taglienti, come solito, ma a volte troppo risentite, mi pare. Più ironia, meno sarcasmo; più disincanto, meno indignazione? Più poesia, meno letteratura.
(Tra parentesi: Sordi era l'aspetto corrivo e cialtronesco, furbetto e vile della nostra identità nazionale; l'altro aspetto, quello notturno, malevolo più che maligno, ipocrita, furbo più che intelligente, era incarnato da Andreotti. Oggi abbiamo la perfetta sintesi in un'unica persona).
Adelante.
F.

Anonimo ha detto...

Questi brani sono belli e terribili. Mi fanno pensare all'ira, ma anche all'ironia, di poeti-profeti come Foscolo, Leopardi o Baudelaire, autori ribelli, irriconcialiati e insieme maestri di stile. Chi ha detto che i poeti sono i legislatori segreti del mondo? Almeno qui mi sembra di trovare una conferma. Quasi tutti i pezzi, comprese le "rimette", danno il senso di ciò che vuol dire pensare e far pensare. Li ho letti con grande partecipazione e vorrei leggerne ancora.
Anna

Anonimo ha detto...

Gentile signor Morto,
dalla vivacità del suo Diario postumo inferisco che lei debba godere di buona salute nonostante tutto! La domanda che le rivolgo è la seguente: come possono manifestarsi tante geniali ed esilaranti freddure in mezzo alle vampe dell'inferno?
Con il mio più ammirato consenso a uno dei pochi poeti che oggi si ostinano a pensare con rigore.
Sauro