lunedì 25 febbraio 2013

Il poeta in 100 pezzi: 71



Svuotarsi, fare di sé una vibrante cavità – ossia, divenire quello che si è: vuoto – un vuoto svuotato della polpa dolente, o della poltiglia putente, dell’anima – svuotato d’ogni ciarpame d’epoca.

La conchiglia risuona solo quando il mollusco è morto...

Una pura voce postuma. La voce in una forma cava e refrattaria. (al 1.VII.94)


Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 18 febbraio 2013

Il poeta in 100 pezzi: 66



Ridotto a se stesso, portatore di una poesia inevitabilmente solitaria, singolare – una poesia che nessuno lo aiuta a fare – senza dei e eroi in comune con i suoi contemporanei – che anzi vivono di miti succedanei, per lui intollerabili, adorano vitelli d’oro; ha il poeta davvero un’altra possibilità se non quella di coltivare la propria diversità, farsi un mito di esilio e solitudine? Non è solo attraverso questo sacrificio in sé dell’universale, un sacrificio non richiesto né riconosciuto – dunque non retorico, ma necessario – che egli può mantenere viva nel mondo la poesia? (28.XII.93)


Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004

lunedì 11 febbraio 2013

Il poeta in 100 pezzi: 63



In poesia bisogna diffidare dell’io discreto, come dell’io petulante o compiaciuto. L’io o è una solenne invenzione o è pigolio. L’io modesto è un’invenzione modesta, mediocre; poiché l’io è sempre invenzione.

Questa inventata verità, o grande maschera, deve avere una forma adeguata – che vuol dire: stile – ovvero, grande stile – tono, ritmo, memorabilità: tutto ciò che tengono insieme, che fanno forma viva, necessità e tecnica.

Ogni essere non è che forma, vivo in quanto e finché tale: una forma complessa e vuota, regolata da leggi rigorose, immutabili. La poesia risponde a leggi sue proprie, ma non diverse: dà forma a un’invenzione, o, che è lo stesso, al vuoto. Nata da una forma vuota e mortale, essa porta in sé, come un codice genetico, il vuoto e la morte – racchiusi nel rigoroso splendore di una forma viva. (30.VII.93)

lunedì 4 febbraio 2013

Il poeta in 100 pezzi: 62



È grazie all’estraneità e alla distanza che il poeta vede il suo tempo. Che meraviglia che il suo tempo non veda lui? (9.V.93)

Da Il poeta in 100 pezzi Edizioni Il Labirinto, Roma, 2004