lunedì 14 marzo 2011

Cartigli

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L’opera a metà. Dove comincia, o dove finisce, la differenza tra un’opera incompiuta – lasciata a mezzo dal suo autore – e un’opera diruta – dimezzata dal tempo distruttore? Prendiamo a esempio la chiesa della Sagrada Familia e l’abbazia di San Galgano: due grandeggianti relitti che si incontrano a metà strada: la prima ha perduto il futuro, la seconda il passato...
Il monumentale o lo statuario, innalzandosi e sgretolandosi sotto i nostri occhi, illustrano con fisica efficacia il dilemma; ma un medesimo confronto si può fare in poesia, che so, tra le strofe che ci arrivano mutile di Alcmane o di Saffo e quelle sospese, a frammento, di Campana, o i versi abbozzati, abbandonati tra le carte di Govoni o Penna.
L’opera non compiuta è un’opera che pare sottrarsi alla distruzione: imitandola con la sua incompiutezza in qualche modo la elude, forse la irride.
Ma, si può obiettare, il tempo rovina anche le sue rovine, così come la sua rosura non si arresta di fronte all’interrotto – e tuttavia, a quel punto, tra i segni della mano mancata dell’autore e quelli della mano immanente del tempo, le tracce sono bell’e confuse e il distruttore resterà pur sempre un po’ giocato – previsto.
Comunque, anche escludendo un’intenzione assicurativa o ironica nell’autore (di solito le opere restano incompiute per ragioni più contingenti che concettuali), il risultato non cambia: la confluenza confonde le acque e l’interrogativo ci ondeggia su.

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