domenica 1 novembre 2009

Intermezzo. Tre poesie di Sponde

*







Non vedi quella freccia che si spinge
partita dalla mano dritta nell’aria
e l’insegue? Sale, sale, cede: ma di colpo
ahimè ricade, cade, perde il suo impeto.
È la solfa dei giorni qui: l’arroganza
dei mostri di terra, succhiata col latte,
che sfiora ecco dei monti la più alta
vetta e sulle rocce in strapiombi s’abbatte.
I nostri giorni: salito a quell’altezza
quando sarai lì, fermo in quel punto
insuperabile, la discesa ti aspetta.
La freccia ha piume, l’aria che va inseguendo
è campo del turbine: avanti, impara
che la tua vita è piuma e il mondo, vento.


*

Chi sono mai, chi sono questi cuori
idolatri, adoratori di successo
ai piedi del mondo: valletti, signori:
anime d’ebano e facce di gesso?
Queste maschere a schiere false e matte
che lisciano con gusto non so che venditori
di fumo di corte, questi trionfatori
su un cielo che non possono combattere?
E quei bordeggiatori che lasciano il porto,
devoti alla vita, infedeli alla morte,
per stella il loro bene, la fantasia per vento?
È il mare in cui remo e temerei di perire
se non sapessi che la vita è soltanto
la lanterna che mi guida al morire.


*

Ma se il mio fiacco corpo che scorre via
come acqua – e dura più d’uno più forte –
già s’accosta al varco della morte
e male su male alla tomba mi avvia,
perché mi oppongo al vento che tempesta
la sabbia dei miei giorni, inarrestabile?
Non è meglio svegliar l’anima semmai il turbine
nel sonno insieme al corpo la disperda?
Che il corpo dorma, mia anima, tu vigila
vigila, in guardia dai terrori, attenta
che addormentata il Ladro non ti sorprenda:
l’attimo del suo arrivo, anima, è incerto:
ma a noi basta che questo autore di vita
nasconda il tempo, e non il suo progetto.



Le poesie sono tratte da Jean de Sponde, Versi d’amore e di morte, traduzione di Gianfranco Palmery, Il Labirinto, Roma 2007

http://www.labirintolibri.com/sponde/versidamoreedimorte.html

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