giovedì 27 maggio 2010

Risalti

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Il vero eroe del nostro tempo – l’unico, ultimo e possibile mito individuale, in cui natura e cultura coincidono – è il Killer, il Serial Killer. È questo l’infimo prometeo che ci spetta – colui che porta come fuoco la verità nel gregge umano, non rapendola al cielo bensì all’inferno, alle viscere fonde infere che racchiudono verità brucianti...
In questa planetarietà d’io a miliardi e dio unico l’Utile, con la risibile terribilità di un’economia d’extrasistole – ripresa-crisi-ripresa-crisi, ecc. – espressa nei viavai isterici, da pronto soccorso, della Borsa (le grida!), la fanfaluca nefanda del Progresso, la cui metafora perfetta è la frenesia immobile e pestifera del traffico... il Serial Killer è l’unico che interpreta e trae giuste conclusioni dalla trivialità delle statistiche: i morti tra le lamiere, tra le mura degli ospedali, nei deserti della fame, sotto le bombe intelligenti delle tribù progredite della terra... queste legioni di zeri, di azzerati, lo autorizzano e lo legittimano.
La vita dei bipedi parlanti che pestano il suolo non è sacra – chi lo sostiene mente come un pubblicitario –: la loro vita vale quanto quella delle formiche che i medesimi schiacciano con sovrana indifferenza su prati e marciapiedi, e il Serial Killer lo rivela, o semplicemente lo afferma, compiendo il solo gesto umano e vero di una specie ridotta a cieca congerie. Egli è l’equivalente della montagna assassina, del fiume traditore – secondo le ridicole stereotipie di cervelli puerili –: come quelle sono le forze di una natura violata che dirompe, così il Serial Killer è la forza di una cultura dissestata che esplode.

da Morsi di morte e altre tanatologie, Il Labirinto, 2010

venerdì 21 maggio 2010

Risalti

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C’è una indifferenza specifica di tutti i prodotti artistici umani – e in generale di tutti i prodotti umani e delle umane azioni: coltivare, edificare, uccidere, navigare... Questa indifferenza, o parità, deriva dalla loro cosmica, e comica, insignificanza. Un Lied di Schubert o una canzone di Paolo Conte, il Cantico delle creature o La vispa Teresa, i Capricci di Goya o i fumetti di Corto Maltese, Dostoevskij e Camilleri, Mozart e Berio, Gesualdo e Cage, Leopardi e Balestrini, hanno nell’universo mondo, stellare e planetario, un medesimo rilievo, ovvero sono tutti parimenti irrilevanti. Questa è una indubitabile verità ontologica.
Ma riportando il tutto in una prospettiva terrestre, ai nostri sensi di inquieti effimeri esigenti, quella parità, seppure può essere una piccola verità semiologica, è senz’altro un’enorme menzogna estetica.
In arte esistono livelli di valore e livelli di piacere che possono essere fittiziamente abbassati o elevati, con inganno e per politica violenza, come viene fatto con l’atrazina nell’acqua o le polveri sottili nell’aria... Questo vuol dire che, eliminate subdolamente, cioè fingendo di pregiarle e sostenerle, le arti classiche – musica, pittura, poesia – e dando spazio a oggetti spuri, a suoni e versi derivativi, si è spostato al basso il grado del piacere estetico e si è con fraudolenza innalzato il valore dei succedanei. Con l’effetto di alterare l’intero terreno culturale e l’apparato percettivo collettivo e individuale – come accade quando una nazione vede asservite le sue possibilità espressive al potere politico, sia esso totalitario o democratico televisivo.

da Italia, Italia, Il Labirinto, 2007

mercoledì 12 maggio 2010

Cartigli

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Secondo Valery, baldo calcolatore i cui calcoli hanno prodotto un’opera che dà per somma zero, «Il vantaggio dell’incomprensibile è che non perde mai la sua freschezza». In un senso comicamente alieno è vero: la freschezza delle frescacce è intramontabile perché ci sono sempre i fresconi che se le bevono – giacché, come è stato autorevolmente detto, gl’imbecilli sono conquistati dall’oscurità.

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Valery e Simenon: ipertrofie descrittive. Uno è perennemente occupato a esporre le escrezioni del suo cervello, l’altro dei suoi intestini. Sono opposti che s’incontrano nell’esagerazione noiosa e compiaciuta: di testa e di pancia.




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